Vi posto questa bellissima recensione che ho trovato in rete scritta da Ivan Leoni.
Nei cinque anni di vita della serie ideata da Vince Gilligan, sono
stati più di quaranta i riconoscimenti ufficiali assegnati ad attori e
produttori televisivi. Ma la vera portata di questo fenomeno pop del nuovo millennio
non si esaurisce nel mucchietto di Emmy e Golden Globe accatastati
nelle vetrine della High Bridge Entertainment, la casa di produzione: il
valore di “Breaking Bad – Reazioni collaterali” prende corpo e sostanza
nel momento in cui si osservano da vicino tutti gli aspetti che
concorrono alla formazione di un prodotto televisivo seriale.
L'originalità del plot, la credibilità dei personaggi rappresentati
(principali e secondari), il rapporto eroe-antieroe, la coerenza
strutturale della trama, la regia, il montaggio, la musica, i dialoghi: tutto si tiene in modo superlativo e trovare una sbavatura è francamente un'impresa ardua.
La parabola messa in scena da Gilligan è quella di un insegnante di
chimica che, il giorno successivo al suo cinquantesimo compleanno,
scopre di avere un tumore. Da qui l'avventata decisione di sfruttare le
proprie competenze per produrre metanfetamina e garantire un futuro
economico alla propria famiglia. Nelle prime puntate, quindi, lo spettatore solidarizza con la condizione psicologica provocata dalla malattia di Walter White,
di cui vengono rappresentati anche i difficili momenti delle terapie
per rallentarne lo sviluppo - cosa già di suo piuttosto coraggiosa per
un prodotto d’intrattenimento, no?
In virtù di questa empatia, si finisce con l’essere traghettati attraverso tutti gli stati dell’io del protagonista, che da eroe positivo si trasforma nell’anti-eroe Heisenberg,
a capo di un’organizzazione criminale che sbaraglia la concorrenza
imparando sul campo le regole e i codici della delinquenza. Un lungo
cammino la cui conseguenza - la reazione collaterale, appunto - non è la
redenzione, ma la lucida presa di coscienza della inevitabile dannazione.
Questa rappresentazione risulta credibile nell’intero arco narrativo delle cinque stagioni, grazie alle interpretazioni di Bryan Cranston (nel duplice ruolo di Walter White/Heisenberg), Aaron Paul (l'ex allievo Jessie Pinkman, complice della produzione di metanfetamina), Anna Gunn (la moglie Skyler), RJ Mitte (il figlio costretto in stampelle da una paralisi cerebrale) e Dean Norris
(il cognato Hank, che lavora all'agenzia federale antidroga e dà la
caccia ad un nemico che si nasconde in casa). A questi si aggiungono un
universo di personaggi sopra le righe come Saul Goodman,
spassosissimo avvocato talmente ben tratteggiato da meritarsi uno
spin-off, con la serie “Better call Saul” che andrà in onda nel corso
dell’anno. E che dire del ritmo della narrazione? Come bene osserva Alessandra Daniele su Carmillaonline sembra evidente il richiamo a Sergio Leone: “lunghi momenti di tensione, e fulminanti accelerazioni violente e sanguinose”.
Messa così, Breaking Bad potrebbe sembrare un freddo esercizio di maniera o, per rimanere fedeli al plot, una formula chimica ben ponderata. Al contrario, dopo aver assistito al finale di serie – attenzione: quasi spoiler! – si ha l'impressione che l'insieme sia addirittura superiore alla somma dei singoli elementi considerati
e che tutto sia stato sapientemente costruito per trasmettere la
tensione etica fra bene e male implicita in ogni umana decisione. Il
primo dei tre atti finali, dal titolo Ozymandias, ritrae, infatti,
malinconicamente il definitivo tramonto del progetto di vita di
Heisenberg, richiamando l'inevitabile declino di tutti gli imperi e degli uomini di potere, così come descritto nell'omonimo sonetto del poeta inglese P.B. Shelley.
Un capolavoro, insomma, che in molti definiscono come la miglior serie di sempre e che ha proiettato Heisenberg nell'immaginario collettivo di un’intera generazione.
Da vedere.
Fonte: bergamonews.it
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